Luigi Carnevale, tecnico del Cosenza Under 16, si racconta in un’intervista rilasciata al sito ufficiale.
– Che non tragga in inganno la giovane età, alle tue spalle hai già un ricco curriculum.
«E’ la mia decima stagione e alcune soddisfazioni me le sono tolte. Parliamo di due promozioni nel campionato di Eccellenza e una Coppa Italia regionale. Da professionista però è la mia prima vera esperienza».
– Vogliamo ricordare alcune delle squadre che hai allenato?
«L’esordio è stato a Roggiano, poi tre stagioni a S.Lucido e subito dopo allo Scalea. A Rende mi sono occupato di tutto il Settore Giovanile, facendo da responsabile. Infine, prima di approdare in rossoblù, un’esperienza sulla panchina del Castrovillari».
– Quale tra queste esperienze è stata la più formativa finora?
« A Rende ero h 24 sul campo ma è senza ombra di dubbio quella che sto vivendo a Cosenza la più interessante. La possibilità di confrontarmi con colleghi come David Di Michele e Aniello Parisi su tutti, che hanno un passato da calciatori professionisti di primo livello, non può far altro che arricchirmi».
– Sei un appassionato di statistiche e di numeri. A quante panchine sei arrivato?
«Per la precisione 274, di cui 135 vittorie, 68 pareggi e 71 sconfitte».
– Nella scorsa estate la chiamata del Cosenza. Quali sono state le tue prime sensazioni dopo aver ricevuto la proposta?
«Con il presidente Guarascio ho parlato un minuto, è bastato per farmi accettare la proposta. Nel giorno del nostro primo incontro gli ho fatto i complimenti per il risultato raggiunto e per aver riportato un entusiasmo che non si vedeva da anni. In più per l’umiltà mostrata nei giorni della festa, ha lasciato il palcoscenico ai protagonisti sul campo e questo è un gesto che ho apprezzato molto. Piccole sfumature che rendono grande l’opera che ha compiuto».
– Una grossa responsabilità entrare a far parte dello staff tecnico di una società appena approdata in Serie B.
«E’ un onore poter rappresentare la squadra per la quale ho sempre tifato, sin da quando ero bambino e ogni domenica partivo da Guardia Piemontese con destinazione “San Vito”. Sono grato a mister Stefano De Angelis per avermi segnalato e al presidente Guarascio per l’opportunità che mi è stata concessa. La Serie B è un patrimonio che bisogna difendere con le unghie, più lunga sarà la permanenza in cadetteria migliori saranno le condizioni per far crescere i nostri ragazzi e plasmare i calciatori del futuro. Operare su un territorio così vasto come il nostro non è facile, le scuole calcio sono tante e il pericolo dispersione è alto».
– Lavorare con i giovani presuppone un approccio totalmente diverso o il tuo metodo non cambia?
«Una volta bastava essere un buon educatore ma fare l’allenatore in un settore giovanile oggi non è facile. E’ cambiato tutto, alle ore di allenamento al campo bisogna aggiungere dell’altro. L’obiettivo è trasformarsi in un bravo comunicatore, senza imporre le proprie idee ma stabilendo un contatto con i ragazzi. Come riuscirci? Stando al passo coi tempi. Con ognuno di loro sei costretto a trovare una chiave di accesso per farti accettare, riconoscere e rispettare. I risultati stanno già arrivando e sono visibili: alcuni dei miei Lupacchiotti potrebbero essere già pronti per il salto nella categoria superiore».
– A che punto è il processo di crescita umana e professionale dei tuoi ragazzi?
«La fascia d’eta di cui mi occupo io quest’anno è quella più delicata. E’ il passaggio dalla scuola calcio a realtà più importanti. A noi tecnici tocca arricchire il bagaglio di ognuno di loro con i nostri insegnamenti. C’è da dire che in cambio riceviamo tanto, soprattutto a livello emozionale. Impariamo quotidianamente le metodologie che è meglio adottare per entrare in contatto con i ragazzi e in questo mi è di supporto anche il Presidente, attento come me più al percorso di crescita che ai risultati in senso stretto. Altro obiettivo è inculcare il senso d’appartenenza. Ci capita di viaggiare spesso sul pullman della prima squadra, è anche grazie ad esperienze del genere che si trasmette ai ragazzi l’importanza della maglia che indossano e del club che rappresentano».
– Due colleghi illustri, due mostri sacri, due stili profondamente differenti: Zeman e Trapattoni. Chi senti più vicino alle tue corde?
«Sicuramente Zeman, per il gioco propositivo che ha sempre messo in atto. E’ nell’uno contro uno che si decidono le partite: puntare il diretto avversario e avere la meglio nel duello personale crea quella superiorità numerica decisiva in ogni gara».
– Veniamo alle note dolenti, poche soddisfazioni nelle ultime uscite della squadra. Ora vi attende un turno di riposo. Necessario per riordinare le idee e ripartire?
«Speravamo di fare meglio nella partita di Ascoli: una gara difficile da commentare perchè una delle migliori dal punto di vista del gioco espresso ma una delle peggiori per quanto riguarda le dimensioni della sconfitta. Questa pausa calza a pennello per darci la possibilità di ricaricare le batterie e buttarci a capofitto nei prossimi impegni. Ci attende un filotto di partite impegnative al cospetto di avversari validi come Perugia, Pescara e Palermo. All’andata in queste tre gare raccogliemmo molto meno di quello che avremmo meritato. E’ arrivato il momento di riprenderci quei punti».
– Farai affidamento al tuo proverbiale equilibrio? Il self control è una dote che ti viene riconosciuta dai tuoi più stretti colleghi di lavoro.
«Sono soddisfatto del mio lavoro durante la settimana e delle risposte che ottengo dai miei giocatori, migliorati tantissimo dal punto di vista tattico e tecnico. I risultati più gratificanti sono proprio questi e servirà a loro come bagaglio di conoscenze dal quale attingere in futuro. Volutamente regalo a tutti, nessuno escluso, gioie e dolori di vittorie e sconfitte, perchè è necessario mantenere l’intero gruppo sullo stesso livello. Fa parte del progetto di crescita».
